giovedì 29 ottobre 2009

sedici anni e er caffettiere filosofo

"l'ommini de sto monno ll'istesso
che vvaghi de caffè nner mascinino:
c'uno prima, uno doppo, e un antro appresso,
tutti cuanti però vvanno a un distino.
spesso muteno sito,
e ccaccia spesso

er vago grosso er vago piccinino,
e ss'incarzeno, tutti in zu l'ingresso
der ferro che li sfraggne in porverino.
e ll'ommini accusì vviveno ar monno
misticati pe mmano de la sorte
che sse li ggira tutti in tonno in tonno;
e mmovennose oggnuno, o ppiano, o fforte,
senza capillo mai caleno a ffonno
pe ccascà nne la gola de la morte."
er caffettiere filosofo di giuseppe gioacchino belli

quando ho letto per la prima volta questa poesia di belli, avevo sedici anni.
sedici anni e una sconfinata voglia di mordere la vita, stritolarla tra i denti come solo un animale affamato sa fare, succhiarne la linfa, inglobarla tutta per metterla in circolo dentro le mie vene, mescolarla al mio sangue, nelle mie viscere e infine poterla liberare in energia pura.
con un sottile filo di follia cucii insieme il mio cuore, la mia anima e la mia mente. legai l'uno alle altre, dolcemente, ma saldamente, poichè per nessun motivo al mondo avrebbero dovuto separarsi. dovevano viaggiare insieme, all'unisono, senza sbavature e senza stonature, obbligati a seguire una sola armonia che di nome faceva amore.
a sedici mi innamorai, inspiegabilmente, profondamente e totalmente, per la prima volta, e forse anche l'unica, nella mia intera vita. mi innamorai di colui che mi fece scoprire e leggere questa poesia e insieme ad essa altre parole e altri suoni, altri colori e altre cose della vita che fino a quel momento non avevo ancora carpito e capito.
in quel periodo osservavo sempre il cielo. camminavo cercando di lanciare il mio sguardo oltre il mio stesso campo visivo. il naso costantemente all'insù e gli occhi fissi su quell'infinita distesa azzurra come a cercare qualcosa che non riuscivo a definire e a circoscrivere con le parole, con le azioni, e irrimediabilmente finivo col perdermi tra molecole celesti. guardavo il cielo e strappavo pezzi di nuvole e con essi disegnavo il mio futuro, fino a che la pioggia lavava via tutto, compreso il mio viso, costringendo i miei occhi ad un repentino cambio di direzione. così all'improvviso e senza preavviso, la pioggia mi catapultava nella realtà dalla quale cercavo di fuggire a volte per qualche minuto, altre per qualche ora. ma poi arrivava lui, che con i suoi occhi grandi, scuri e il suo sguardo vellutato mi faceva sentire protetta, sicura. lui che per me era autentico rifugio dalle paure e dalle insicurezze di adolescente che attraversava la vita come un funambolo dal passo incerto e dal precario equilibrio. lui era lo scudo che mi proteggeva da quella parte di me sempre pronta a condurmi verso l'autodistruzione. lui era la mano tesa da afferrare nel momento del bisogno e la mano da stringere forte quando le emozioni erano tanto impetuose quanto insopportabili e i battiti del mio cuore così intensi da fare eco in ogni singolo spazio del corpo.
a sedici anni tutto è amplificato. percepire, e quindi sentire, le cose, le persone e il mondo diventa un processo di inevitabile distorsione della realtà, soprattutto quando ormoni ed emozioni si fondono e diventano il solo filtro, un'unica interfaccia che permette di entrare in contatto con tutto ciò che sta al di là e al di qua della nostra pelle.
a sedici anni non esistono unità di misura. è l'età degli estremi, troppo o troppo poco, tutto o nulla. ogni cosa che entrava in contatto con me, aveva su di me e in me una risonanza che a volte insostenibile. oggi come allora stento a circoscriverla, a quantificarla e a descriverla. in adolescenza tutto diventa una questione di assoluta importanza, si ha lo strano potere di trasformare e ingigantire ogni minima cosa. tutto diveniva così totalizzante da costringermi a lottarvi contro. spesso altro non erano che guerre dichiarate da me stessa contro mostri inesistenti. come quell'idealista testardo che di don chisciotte che tentava di sfidare mulini a vento scambiandoli per giganti dalle braccia rotanti, allo stesso modo intravedevo in ogni cosa o persona che ostacolava il mio flusso vitale, un acerrimo nemico da combattere con tutte le mie forze in una guerra solitaria.
a volte vorrei tornare a quei sedici anni.
vorrei ritornarvi e riviverli per riacciuffare quei desideri, quei sogni e quello slancio vitale che portavo nel cuore, nell'anima e nella testa e che più e più volte ho perduto durante il mio cammino. loro erano la mia bussola, la mia stella polare e la mia ancora. e dio solo sa quanto vorrei riaverli con me. forse sono solo a pochi passi da loro, ma il buio in cui brancolo da qualche tempo non mi permette di vederli, di percepirli.
forse, invece, non è ancora giunto il momento di intravvedere una luce, un segno, un'indicazione che mi sia d'aiuto. o forse non ho ancora riacquistato quell'energia e quella forza necessarie per ritrovarle e per proteggerle come facevo a sedici anni.
tornare indietro però non è possibile. guardo avanti.
sì, guardo avanti e spingo il mio sguardo oltre il mio stesso campo visivo, oltre l'orizzonte possibile. magari laggiù, ritroverò ancora una volta i miei sedici anni.

lunedì 26 ottobre 2009

perdita e sogno

tre giorni fa ho perso una persona a me molto cara.
oggi ci siamo riuniti tutti per darle l'ultimo saluto, l'ultimo abbraccio, l'ultimo bacio.
è sempre difficile accettare una perdita, anche quando questa è in qualche modo preannunciata da una malattia o dall'inevitabile passare del tempo che plasma e trasforma il corpo, in un lento logorio. una volta ho sentito qualcuno dire che si nasce piccoli, rugosi e terribilmente stanchi e quando si muore si è altrettanto piccoli, rugosi e stanchi. e lei se n'è andata proprio così, consumata dalla sua lunga vita, si è spenta piano piano, giorno dopo giorno, come una candela che per lunghissimi anni ha affrontato con vigore l'ardore della fiamma.
quando una persona va via così, quasi in sordina, lascia che coloro che le sono stati accanto possano quasi abituarsi, in modo graduale, alla sua scomparsa e fa sì che attorno a lei il dolore di chi resta venga lenito da un'atmosfera in cui la sofferenza dovuta al distacco e alla perdita si fonde con la dolcezza dei ricordi e del tempo passato.
in questo momento non resta che condividere i pensieri e le emozioni, rimanere vicini e uniti, ma altro tempo ci vorrà perchè il nostro cuore e la nostra mente prendano reale coscienza del solco e del vuoto che questa persona ha lasciato inesorabilmente.
a lei che non potrò più incontrare, vedere, ascoltare, abbracciare nella realtà che mi circonda dedico questa canzone, nella speranza di poterla ritrovare nel mio mondo, quello interiore, nel silenzio del mio cuore e nei miei sogni.
"sogno che ti prendo come neve a ciuffi
soffio sui baci allontanati
sui baci tuoi versati
sogno la mia carne trasformarsi in puro
spirito
mi accorgo che sei sveglio
mi scordo che ti afferro
ci sarà qualcosa nei tuoi occhi viola
ci sarà qualcosa per cui valga la pena
ci sarà qualcosa che mi può stordire
ci sarà qualcosa, anche una cura, un sogno per
morire
a te che te ne vai
dono la mia dolcezza
estrema vertà
eterna mi incertezza
a te che te ne vai
sche sprofondo in questo viaggio mio mentale
e tutto è nella notte
notte tutta uguale
sogno che sei un urlo di bambino intrappolato
il gioco è cominciato e giò è finito il gioco
sogno che divento il tuo piccolo gigante
sul prato sei un diamante, nel prato a piedi
nudi
sogno che entra il mare in questo bosco di
frattaglie
ed io conosco i funghi e tu raccogli i fondi
ci sarà qualcosa nei tuoi occhi viola
ci sarà qualcosa nella vita per cui valga la
pena
ci sarà qualcosa persa per la strada
ci sarà qualcosa che ritorna e che ti fa partire
ora
a te che te ne vai
e diventi un'ossessione
non cederò la notte
perduta mia illusione
a te che te ne vai
e diventi un'invasione
non cederò la notte
eterna mia ossessione
e diventi un'invasione
ti aspetterò la notte
eterna mia ossessione"

sogno di gianna nannini




venerdì 23 ottobre 2009

incipit

per dare inizio al blog, ho scelto di dedicare questo primo post all'appello degli aquilani che in questi giorni stanno cercando di far fronte alle molteplici difficoltà dovute non solo all'insidioso freddo autunnale, che fa da preambolo alle più rigide temperature invernali, ma anche, e soprattutto, dagli enti locali e dalla protezione civile che sembrano essere affetti da rare forme di ipoacusia e ipovisione rispetto alle richieste e alle reali esigenze di coloro che da mesi vivono nelle tende.
ho raccolto questo messaggio dal blog di anna, nel quale mi sono imbattuta per caso a ridosso del 6 aprile di quest'anno e nel quale faccio spesso ritorno per conoscere in modo più diretto l'evoluzione della situazione in quelle zone. grazie a lei ho preso atto di spiacevoli retroscena della vicenda aquilana, dei quali mai, e sottolineo MAI, ho sentito parlare in un telegiornale o in uno dei tanti programmi "speciali" interamente dedicati al terremoto abruzzese.
ancora una volta sono portata a constatare la raccapricciante condizione nella quale imperversa il nostro paese e nella quale veniamo inevitabilmente trascinati tutti noi cittadini: la stragrande maggioranza degli strumenti di informazione non fa altro che propinarci mezze verità e indorare pillole che mai e poi mai vorremmo ingerire. sgraniamo bene gli occhi e apriamo bene le orecchie, più del solito e più del dovuto, perchè ormai è un dato di fatto che i nostri sensi e permettetemi di dire anche i nostri neuroni sono inibiti da pesanti filtri che ci impediscono di entrare in contatto con l'autentica realtà dei fatti.
quindi, invito tutti a visitare il blog di anna http://miskappa.blogspot.com/ che ci ha dato e ci dà la possibilità di osservare e di capire, attraverso la sua personale e dolorosa esperienza, il vero corso degli eventi e qui di seguito riporto l'appello che potete trovare anche a questo link:
OTTOBRE 2009: ALL’AQUILA E’ EMERGENZA UMANITARIA
Facciamo appello a tutti coloro che in Italia hanno
dimostrato sensibilità a quanto qui è successo e continua ad accadere.
A chi ha mantenuto alta l’attenzione sul dramma che ha
colpito il nostro territorio e sulla gestione del post sisma. Oggi, il 18 di
ottobre, all’Aquila fa freddo. Siamo nella fase più drammatica, la notte già si
sfiorano i -5°C ed andiamo incontro all’inverno, un inverno che sappiamo essere
spietato. Le soluzioni abitative, promesse per l’inizio dell’autunno, non ci
sono. Circa 6000 persone sono ancora nelle tende. Meno di 2000 persone sono
finora entrate negli alloggi del piano C.A.S.E o nei M.A.P. La maggior parte
degli Aquilani sono sfollati altrove in attesa da mesi di rientrare. Ora, con lo
smantellamento delle tendopoli altre migliaia di persone sono state allontanate
dalla città e mandate spesso in posti lontani e difficilmente raggiungibili.Noi,
definiti “irriducibili”, siamo in realtà persone che (come tutti gli altri)
lavorano in città, i nostri figli frequentano le scuole all’Aquila, molti non
sono muniti di un mezzo di trasporto, altri possiedono terreni od animali a cui
provvedere. Siamo persone che qui vogliono restare anche per partecipare alla
ricostruzione della nostra città. Da oltre sei mesi viviamo in tenda, sopportando
grandi sacrifici, ma con questo freddo rischiamo di non poter più
sopravvivere. Se non accettiamo le destinazioni a cui siamo stati condannati (che
sempre più spesso sono lontanissime) minacciano di toglierci acqua, luce,
servizi. Oggi, più di ieri, abbiamo bisogno della vostra solidarietà. Gli enti
locali e la Protezione Civile ci hanno abbandonati. Secondo le ultime notizie
che ci giungono i moduli abitativi removibili che stiamo richiedendo a gran voce
da maggio, forse (ma forse) arriveranno tra 45 giorni. Oggi invece abbiamo
bisogno di roulotte, camper o container abitabili e stufe per poter assicurare
una minima sopravvivenza. Visto che le nostre richieste alla Protezione Civile e
al Comune non sono prese in minima considerazione chiediamo a tutti i cittadini
italiani un ulteriore sforzo di solidarietà. E abbiamo anche bisogno di non
sentirci soli. Per questo vi chiediamo di organizzare dei presidi nelle piazze
delle città italiane per SABATO 24 OTTOBRE portando nel cuore delle vostre città
delle tende per esprimere concretamente solidarietà a noi 6000 persone che
viviamo ancora nelle tende ad oltre sei mesi dal sisma. Un altra emergenza è
cominciata oggi. Non dettata da catastrofi naturali ma dalla stessa gestione del
post sisma, da chi questa gestione l’ha portata avanti sulla testa e sulla pelle
delle popolazioni colpite. Alcuni abitanti delle tendopoli sotto zero.
Per donazioni e contatti:emergenzaottobre2009@gmail.com
339.19 32 618 - 347. 03 43 505 per ulteriori informazioni aggiungo il mio numero348. 30 55 965