lunedì 30 novembre 2009

a novembre

no, non ho la minima intenzione di iniziare a cantare a squarciagola la canzone di giusy ferreri. non me ne voglia, lo scrivo con tutto il rispetto per lei, la sua canzone e la sacra madre musica. è solo che oggi mi sono accorta che è già il 30 e se la memoria non mi inganna "30 giorni ha novembre..." e stop, il mese è finito. questi 30 giorni novembrini li ho sentiti sgusciare via dalle mie mani come fossero granelli di sabbia leggerissimi, quasi inconsistenti.
ho sempre pensato che percepire il tempo come un fluire rapido di eventi, cose e persone avesse in sè il potere di renderlo positivo, piacevole, migliore. forse perchè ricordi che a scuola gli unici momenti che sentivo trascorrere velocemente erano oltre alla ricreazione, l'ora di disegno e di musica, al contrario di quella di educazione motoria, materia che ho sempre detestato (per molti è strano ma per me è così), che non passava mai. quindi secondo i miei personalissimi e quindi discutibili calcoli, novembre è stato un mese positivo.
ho visto l'autunno proseguire la sua intensa corsa prima di cedere il testimone all'inverno, lasciando dietro di sè ondate di foglie gialle, rosse e marroncine che scricchiolano sotto i piedi come le briciole di pollicino, mentre un'insolita ventata di freschezza ha sorpreso la mia vita. così a novembre, da un giorno all'altro ho riscoperto che la vita, quella che ho sempre desiderato e cercato ha la forma di tanti volti, il suono di tante voci, risate e pianti, il tocco di tanti abbracci e baci e il profumo buono della pelle dei bambini, del pane appena sfornato e del bucato steso al sole.

ah, quanto tempo
si è
potuto vivere,
terra,
senza autunno!
ah, che naiade
oppressiva
la primavera
con i suoi scandalosi
capezzoli
che mostra in tutti
gli alberi del mondo,
e quindi
l'estate,
grano,
grano,
intermittenti
grilli,
cicale,
sudore sfrenato.
poi,
l'aria
reca di mattina
un vapore di
pianeta.
da altra stella
cadono gocce d'argento.
si respira
il
cambiamento
delle frontiere,
dell'umidità del vento
dal vento alle
radici.
ode all'autunno di pablo neruda

lunedì 16 novembre 2009

l'italia che mi piace

anche se in queste parole, scritte da goethe nel 1831, rivedo la mia italia:
l'italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade,
ancora truffe al forestiero, si presenti
come vuole.
onestà tedesca ovunque cercherai invano,
c'è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina;
ognuno pensa per sè, è vano, dell'altro diffida,
e i capi dello stato, pure loro, pensano solo per sè.
bello è il paese! ma faustina, ahimé, più non ritrovo.
non è più questa l'italia che lasciai con dolore.

anche se concordo alla perfezione con il pensiero del premio nobel per la letteratura josé saramago quando ha affermato:
la società è apatica, anestetizzata fra miele mediatico e
veleno politico: una miscela che tutto corrompe,
anche i confini fra ciò che è morale e immorale.
posso dire, da straniero, che non capisco gli italiani e
spero che si riassumano la responsabilità di trovare nuove e urgenti indignazioni.
il sentimento degli italiani per il cavaliere è indifferente
a qualsiasi considerazione di ordine morale.
nella terra della mafia e della camorra
che importanza può avere il fatto provato
che il primo ministro sia un delinquente?
l'italia che mi piace e che mi rende fiera di appartenervi è questa e anche questa!

domenica 8 novembre 2009

alla ricerca del sonno perduto


the peanuts - schulz
spesso, di sera, mi capita di non riuscire a prendere sonno.
ciò ha avuto inizio inspiegabilmente nel giorno in cui ho iniziato l'università.
da piccola, invece, ero la fan numero uno del sonno.
ormai è leggenda la storia che mia madre suole raccontare, con una frequenza pari solo a quella dell'uscita delle cretinate dalla bocca di silvio (leggi berlusconi), a tutti coloro che non conoscono i trascorsi bizzarri della nostra famiglia. io non sono da meno (tale madre, tale figlia) e mi applico assiduamente nel tramandare non solo oralmente, ma oggi anche per iscritto, la mia personalissima leggenda.
appena nata dormivo sempre. bella la vita a quei tempi! giorni e notti scandite da poppate e pisolini dissipati senza avarizia e un solo motto: minimo sforzo, massimo rendimento.
è pazzesco che al di là di ciò che racconta mia madre, che ovviamente è di parte, tutte le persone che mi hanno conosciuta da piccola, di me ricordano solo due cose: la folta criniera corvina e il perenne stato dormiente. il sonno mi coglieva nei momenti più insospettabili, quando mia madre passava l'aspirapolvere, quando squillava il telefono, quando la nostra vecchia lavatrice centrifugava causando un microsisma condominiale, quando la pentola a pressione sputacchiava vapore a intermittenza. a sentirli tutti, amici e parenti, dormivo e basta, al punto che la povera mamma era costretta, e sottolineo, costretta a svegliarmi per le svariate poppate notturne, pena il rapido deperimento fisico tanto temuto dalle mamme del sud come lei.
deduco che dovevo essere un vegetale con le sembianze di bambina, dal momento che nulla poteva distogliermi dal sonno. probabilmente una precoce indagine genetica avrebbe potuto svelare la presenza di un genotipo vegetable e di un fenotipo umano. a questo punto una serie di risvolti tragicomici si sono susseguiti a ruota nel mio microsistema familiare: la disperazione di mia madre nel non sentirmi mai piangere (se non in rarissime occasioni) e nel constatare l'assenza di un qualunque stimolo che potesse assomigliare alla fame, si alternava all'invidia delle sue amiche, mamme di pargoli più simili a lupi sotto una luna in perenne plenilunio.
una di queste, in particolare, stremata da un figlio dedito al canto heavy metal e a ubriacature di latte materno ventiquattro ore su ventiquattro/sette giorni su sette, che le aveva tolto, insieme alle speranze, ogni tipo di energia psico-fisica, anziché recarsi dal farmacista per l'approvvigionamento di supradyn e di multicentrum, un giorno fece visita a casa nostra. portò con il figlio-urlante e, rosicando nel vedermi placida e beata nella culla, mera espressione del mio essere vegetable inside, optò per un esperimento altamente s c i e n t i f i c o: testare la resistenza della mia fase rem sotto l'ondata di decibel del pianto-urlo del figlio. ma leggenda volle che nemmeno lui riuscì a svegliarmi.
e s p e r i m e n t o-n o n-r i u s c i t o/ p r o v a-n o n-s u p e r a t a.
tutto ciò suscitò stupore in mia madre e invidia nella sua amica, che distrutta come pochi e in debito di sonno da mesi, non esitò un momento nel gettare discredito sulla genuinità del mio riposo e del mio ritmo sonno-(non)veglia. inviperita, si adoperò nel far vacillare le convinzioni della mia povera mamma con le seguenti parole "guarda che tua figlia non è normale e potrebbe passare dal sonno alla morte come niente. non se ne accorgerebbe nessuno, nemmeno lei!".
non so cosa le rispose mia madre dopo aver udito una simile boiata, ma conoscendola e sapendo che è tutto fuorché ipocondriaca, immagino che saggiamente non dette peso a quelle parole.
la mia love-story con il sonno e le sue fasi fu un idillio lungo 19 anni. non vi fu l'ombra di una crisi, solo qualche incubo, come di routine. sono riuscita a dormire come un ghiro persino la notte precedente all'esame di maturità, così tanto e così bene che quando aprii gli occhi la prima cosa che pensai è stata "mo' vado a prendere il sole al parco". inutile dire che l'intenzione, seppur buona, pura e ingenua come un neonato, si sia polverizzata in un nanosecondo, nell'esatto momento in cui mi sono accorta di aver dormito tutta la notte abbracciata all'enciclopedia di letteratura italiana, con le dita ancora incastrate tra le pagine delle poesie di Montale. saranno state le poesie, sarà stato Montale, sarà stata l'indicibile stanchezza, ma non potrò mai dimenticare quella mattina e quella sensazione di riposo totale, a 360°, un riposo della testa e del corpo. mi sentii tremendamente bene e rilassata, priva di ogni coordinata spazio-temporale. quelle dormite lunghe e intense, che durarono ancora tutta quell'estate fino al maledetto giorno in cui varcai la soglia dell'università, ora sono solo un lontano ricordo, lontano come l'esame di maturità.
da allora, qualcosa si ruppe e mai più notti furono così. mai più dormite filate senza traumatici e improvvisi risvegli notturni, ma soprattutto mai più addormentarsi senza avere il tempo materiale per appoggiare la testa sul cuscino e per chiudere gli occhi. l'idillio terminò bruscamente con una separazione "in casa" e con tutto ciò che essa comporta.
attualmente il sonno ed io viaggiamo su strade parallele, anche se continuo a braccarlo ogni sera, cercando di richiamarlo a me con vari stratagemmi: il profumo di tazzoni di camomilla, fumanti tisane rilassanti a base di melissa o le immancabili gocce di valeriana.
certe sere, memore della mia notte prima degli esami che nulla ha a che vedere con la canzone di venditti, prendo in mano un libro, un libro di poesie.
lo guardo, lo rigiro tra le mani, lo annuso, lo sfoglio, lo richiudo.
poi lo riapro. scelgo una pagina a caso. leggo una poesia. una volta, due volte, tre volte.
spesso anche quattro, come fosse una ninnananna dalla melodiosa ridondanza, fino a lasciarmi intorpidire dal suono mentale di quelle parole.
stasera la ninnananna è nuovamente di montale.
sapete com'è, squadra che vince non si cambia.
"non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si
sfolla,

non far del grande suo viso in ascolto
la mia
nebbia di sempre.

un freddo cala...duro il colpo svetta.
e l'acacia ferita da sé scrolla
il guscio di
cicala

nella prima belletta di novembre."
non recidere forbice quel volto di eugenio montale

giovedì 5 novembre 2009

matrimonio all'italiana

questo film ha 45 anni, esattamente 20 anni più di me, ma non li dimostra affatto.
una storia bellissima, sempre attuale. una trama intessuta di passione e veracità, le stesse che nelle mani della protagonista, filumena, diventano veri e propri strumenti per disegnare e plasmare il proprio microcosmo.
ho sempre amato questo film attraverso il personaggio di filumena, attraverso i suoi occhi di donna che non si arrende mai, nemmeno dinnanzi ad un destino che sembra aver già tracciato le traiettorie della sua vita. filumena fa deragliare il fato con il suo orgoglio, il suo temperamento energico e l'infinita genuinità della popolana del sud.
ho amato filumena anche per questo, per il ritratto psicologico che emerge dalla sceneggiatura e dall'intensa, quanto straordinaria, interpretazione di sophia loren, perchè in quei sentimenti quasi urlati, in quelle passioni esternate in modo esagerato e in quell'agire istintivo e sanguigno ho incontrato e riconosciuto le donne della mia famiglia, mia madre e mia nonna. in esse e in filumena mi sono specchiata ed vi ho trovato, riflessi, alcuni tratti della mia identità originaria. una parte di me autentica che celo e proteggo da sguardi indiscreti e da giudizi affrettati, fallaci, come si fa con qualcosa di raro e di autentico, affinchè nulla e nessuno possano scalfirla.
questo film è senza ombra di dubbio il mio preferito. l'ho visto e rivisto così tanto da aver perso il conto.
è difficile scegliere una scena in particolare, poichè sono molte quelle che prediligo.
tuttavia, sono particolarmente legata a quella in cui filumena rivela a don dummì che è il padre di uno dei suoi tre figli. don dummì non le crede, o perlomeno non vuole crederle. ripete "nun è o'vero, nun è o' vero" in modo nervoso, come a voler interrompere bruscamente e definitivamente quel flusso di parole che cerca di ricomporre quella verità a lui dissonante. in quell'istante, filumena tira fuori da un ciondolo una banconota da 100 lire, il compenso che don dummì le aveva lasciato in cambio di una notte d'amore, una delle tante che avevano trascorso anni prima nella casa di tolleranza in cui lei aveva lavorato. notte d'amore fu per lei, non per don dummì.
e fu proprio l'amore a lasciare un segno, quella notte e per sempre, poichè concepirono il loro figlio. su un angolino di quella 100 lire filumena segnò il giorno, il mese e l'anno. questo è il conticino che le serve e che continua a custodire, dopo averlo separato dal resto della banconota, per non dimenticare non solo quella notte, ma tutto il suo passato. ciò che rimane di quelle 100 lire, lo tira addosso a don dummì... perchè "i figli non si pagano".