giovedì 31 dicembre 2009

fine

dopo la parola fine c'è sempre un punto.
e dopo il punto, generalmente, si lascia un po' di spazio, un po' di respiro.
poi si va a capo e si ricomincia.
dopo una fine c'è quasi sempre un inizio.
un nuovo inizio, carico di ottimismo, di buoni auspici, di riti più o meno comprovati e più o meno efficaci, di aspettative, o meglio di illusioni, spesso troppe.
accade così che, quando giunge a termine una fase della nostra vita, importante o no, positiva o negativa, mettere un punto per concludere quel capitolo, diventa un'esigenza primordiale, un gesto necessario e funzionale al nostro benessere.
personalmente ho sempre cercato di colmare i vuoti che il vecchio anno lasciava in me, le insoddisfazioni, le insicurezze che accumulavo nei giorni e nei mesi addietro con un insana speranza verso il futuro.
quest'anno, invece, nulla di tutto ciò.
niente bilanci alla bridget jones del tipo numero di sigarette fumate nel 2009, numero di sbornie, numero di ragazzi baciati (e non solo baciati), numero di incidenti con la macchina, numero di multe prese per parcheggio in divieto di sosta, numero di abbuffate post-delusioni di ogni tipo, numero di chili presi.
niente liste colme di cose, fatti e persone da bruciare allo scoccare della mezzanotte.
niente serate autoflagellandomi con le previsioni astrologiche segno per segno, solo perchè fa cool.
niente inutili ansie per cercare a tutti costi un desiderio da esprimere.
nulla di tutto ciò per la fine di quest'anno, per me difficile da descrivere, difficile da amare e in fondo anche difficile da odiare. resta comunque il mio venticinquesimo anno di vita. forse sarà per questo che il fluire del tempo inizia ad avere tutto un altro sapore e ogni tanto vorrei svuotare completamente la mia mente per formattarla come si deve.
per ora mi limito a pensare ai minuti che verranno e ai preparativi che fervono.
questa sera la trascorrerò nel modo più meraviglioso che io conosca: una casa, una tavola imbandita a festa e i miei amici. e questo è l'unico rituale che mi concedo! felice 2010 a tutti!

lunedì 30 novembre 2009

a novembre

no, non ho la minima intenzione di iniziare a cantare a squarciagola la canzone di giusy ferreri. non me ne voglia, lo scrivo con tutto il rispetto per lei, la sua canzone e la sacra madre musica. è solo che oggi mi sono accorta che è già il 30 e se la memoria non mi inganna "30 giorni ha novembre..." e stop, il mese è finito. questi 30 giorni novembrini li ho sentiti sgusciare via dalle mie mani come fossero granelli di sabbia leggerissimi, quasi inconsistenti.
ho sempre pensato che percepire il tempo come un fluire rapido di eventi, cose e persone avesse in sè il potere di renderlo positivo, piacevole, migliore. forse perchè ricordi che a scuola gli unici momenti che sentivo trascorrere velocemente erano oltre alla ricreazione, l'ora di disegno e di musica, al contrario di quella di educazione motoria, materia che ho sempre detestato (per molti è strano ma per me è così), che non passava mai. quindi secondo i miei personalissimi e quindi discutibili calcoli, novembre è stato un mese positivo.
ho visto l'autunno proseguire la sua intensa corsa prima di cedere il testimone all'inverno, lasciando dietro di sè ondate di foglie gialle, rosse e marroncine che scricchiolano sotto i piedi come le briciole di pollicino, mentre un'insolita ventata di freschezza ha sorpreso la mia vita. così a novembre, da un giorno all'altro ho riscoperto che la vita, quella che ho sempre desiderato e cercato ha la forma di tanti volti, il suono di tante voci, risate e pianti, il tocco di tanti abbracci e baci e il profumo buono della pelle dei bambini, del pane appena sfornato e del bucato steso al sole.

ah, quanto tempo
si è
potuto vivere,
terra,
senza autunno!
ah, che naiade
oppressiva
la primavera
con i suoi scandalosi
capezzoli
che mostra in tutti
gli alberi del mondo,
e quindi
l'estate,
grano,
grano,
intermittenti
grilli,
cicale,
sudore sfrenato.
poi,
l'aria
reca di mattina
un vapore di
pianeta.
da altra stella
cadono gocce d'argento.
si respira
il
cambiamento
delle frontiere,
dell'umidità del vento
dal vento alle
radici.
ode all'autunno di pablo neruda

lunedì 16 novembre 2009

l'italia che mi piace

anche se in queste parole, scritte da goethe nel 1831, rivedo la mia italia:
l'italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade,
ancora truffe al forestiero, si presenti
come vuole.
onestà tedesca ovunque cercherai invano,
c'è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina;
ognuno pensa per sè, è vano, dell'altro diffida,
e i capi dello stato, pure loro, pensano solo per sè.
bello è il paese! ma faustina, ahimé, più non ritrovo.
non è più questa l'italia che lasciai con dolore.

anche se concordo alla perfezione con il pensiero del premio nobel per la letteratura josé saramago quando ha affermato:
la società è apatica, anestetizzata fra miele mediatico e
veleno politico: una miscela che tutto corrompe,
anche i confini fra ciò che è morale e immorale.
posso dire, da straniero, che non capisco gli italiani e
spero che si riassumano la responsabilità di trovare nuove e urgenti indignazioni.
il sentimento degli italiani per il cavaliere è indifferente
a qualsiasi considerazione di ordine morale.
nella terra della mafia e della camorra
che importanza può avere il fatto provato
che il primo ministro sia un delinquente?
l'italia che mi piace e che mi rende fiera di appartenervi è questa e anche questa!

domenica 8 novembre 2009

alla ricerca del sonno perduto


the peanuts - schulz
spesso, di sera, mi capita di non riuscire a prendere sonno.
ciò ha avuto inizio inspiegabilmente nel giorno in cui ho iniziato l'università.
da piccola, invece, ero la fan numero uno del sonno.
ormai è leggenda la storia che mia madre suole raccontare, con una frequenza pari solo a quella dell'uscita delle cretinate dalla bocca di silvio (leggi berlusconi), a tutti coloro che non conoscono i trascorsi bizzarri della nostra famiglia. io non sono da meno (tale madre, tale figlia) e mi applico assiduamente nel tramandare non solo oralmente, ma oggi anche per iscritto, la mia personalissima leggenda.
appena nata dormivo sempre. bella la vita a quei tempi! giorni e notti scandite da poppate e pisolini dissipati senza avarizia e un solo motto: minimo sforzo, massimo rendimento.
è pazzesco che al di là di ciò che racconta mia madre, che ovviamente è di parte, tutte le persone che mi hanno conosciuta da piccola, di me ricordano solo due cose: la folta criniera corvina e il perenne stato dormiente. il sonno mi coglieva nei momenti più insospettabili, quando mia madre passava l'aspirapolvere, quando squillava il telefono, quando la nostra vecchia lavatrice centrifugava causando un microsisma condominiale, quando la pentola a pressione sputacchiava vapore a intermittenza. a sentirli tutti, amici e parenti, dormivo e basta, al punto che la povera mamma era costretta, e sottolineo, costretta a svegliarmi per le svariate poppate notturne, pena il rapido deperimento fisico tanto temuto dalle mamme del sud come lei.
deduco che dovevo essere un vegetale con le sembianze di bambina, dal momento che nulla poteva distogliermi dal sonno. probabilmente una precoce indagine genetica avrebbe potuto svelare la presenza di un genotipo vegetable e di un fenotipo umano. a questo punto una serie di risvolti tragicomici si sono susseguiti a ruota nel mio microsistema familiare: la disperazione di mia madre nel non sentirmi mai piangere (se non in rarissime occasioni) e nel constatare l'assenza di un qualunque stimolo che potesse assomigliare alla fame, si alternava all'invidia delle sue amiche, mamme di pargoli più simili a lupi sotto una luna in perenne plenilunio.
una di queste, in particolare, stremata da un figlio dedito al canto heavy metal e a ubriacature di latte materno ventiquattro ore su ventiquattro/sette giorni su sette, che le aveva tolto, insieme alle speranze, ogni tipo di energia psico-fisica, anziché recarsi dal farmacista per l'approvvigionamento di supradyn e di multicentrum, un giorno fece visita a casa nostra. portò con il figlio-urlante e, rosicando nel vedermi placida e beata nella culla, mera espressione del mio essere vegetable inside, optò per un esperimento altamente s c i e n t i f i c o: testare la resistenza della mia fase rem sotto l'ondata di decibel del pianto-urlo del figlio. ma leggenda volle che nemmeno lui riuscì a svegliarmi.
e s p e r i m e n t o-n o n-r i u s c i t o/ p r o v a-n o n-s u p e r a t a.
tutto ciò suscitò stupore in mia madre e invidia nella sua amica, che distrutta come pochi e in debito di sonno da mesi, non esitò un momento nel gettare discredito sulla genuinità del mio riposo e del mio ritmo sonno-(non)veglia. inviperita, si adoperò nel far vacillare le convinzioni della mia povera mamma con le seguenti parole "guarda che tua figlia non è normale e potrebbe passare dal sonno alla morte come niente. non se ne accorgerebbe nessuno, nemmeno lei!".
non so cosa le rispose mia madre dopo aver udito una simile boiata, ma conoscendola e sapendo che è tutto fuorché ipocondriaca, immagino che saggiamente non dette peso a quelle parole.
la mia love-story con il sonno e le sue fasi fu un idillio lungo 19 anni. non vi fu l'ombra di una crisi, solo qualche incubo, come di routine. sono riuscita a dormire come un ghiro persino la notte precedente all'esame di maturità, così tanto e così bene che quando aprii gli occhi la prima cosa che pensai è stata "mo' vado a prendere il sole al parco". inutile dire che l'intenzione, seppur buona, pura e ingenua come un neonato, si sia polverizzata in un nanosecondo, nell'esatto momento in cui mi sono accorta di aver dormito tutta la notte abbracciata all'enciclopedia di letteratura italiana, con le dita ancora incastrate tra le pagine delle poesie di Montale. saranno state le poesie, sarà stato Montale, sarà stata l'indicibile stanchezza, ma non potrò mai dimenticare quella mattina e quella sensazione di riposo totale, a 360°, un riposo della testa e del corpo. mi sentii tremendamente bene e rilassata, priva di ogni coordinata spazio-temporale. quelle dormite lunghe e intense, che durarono ancora tutta quell'estate fino al maledetto giorno in cui varcai la soglia dell'università, ora sono solo un lontano ricordo, lontano come l'esame di maturità.
da allora, qualcosa si ruppe e mai più notti furono così. mai più dormite filate senza traumatici e improvvisi risvegli notturni, ma soprattutto mai più addormentarsi senza avere il tempo materiale per appoggiare la testa sul cuscino e per chiudere gli occhi. l'idillio terminò bruscamente con una separazione "in casa" e con tutto ciò che essa comporta.
attualmente il sonno ed io viaggiamo su strade parallele, anche se continuo a braccarlo ogni sera, cercando di richiamarlo a me con vari stratagemmi: il profumo di tazzoni di camomilla, fumanti tisane rilassanti a base di melissa o le immancabili gocce di valeriana.
certe sere, memore della mia notte prima degli esami che nulla ha a che vedere con la canzone di venditti, prendo in mano un libro, un libro di poesie.
lo guardo, lo rigiro tra le mani, lo annuso, lo sfoglio, lo richiudo.
poi lo riapro. scelgo una pagina a caso. leggo una poesia. una volta, due volte, tre volte.
spesso anche quattro, come fosse una ninnananna dalla melodiosa ridondanza, fino a lasciarmi intorpidire dal suono mentale di quelle parole.
stasera la ninnananna è nuovamente di montale.
sapete com'è, squadra che vince non si cambia.
"non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si
sfolla,

non far del grande suo viso in ascolto
la mia
nebbia di sempre.

un freddo cala...duro il colpo svetta.
e l'acacia ferita da sé scrolla
il guscio di
cicala

nella prima belletta di novembre."
non recidere forbice quel volto di eugenio montale

giovedì 5 novembre 2009

matrimonio all'italiana

questo film ha 45 anni, esattamente 20 anni più di me, ma non li dimostra affatto.
una storia bellissima, sempre attuale. una trama intessuta di passione e veracità, le stesse che nelle mani della protagonista, filumena, diventano veri e propri strumenti per disegnare e plasmare il proprio microcosmo.
ho sempre amato questo film attraverso il personaggio di filumena, attraverso i suoi occhi di donna che non si arrende mai, nemmeno dinnanzi ad un destino che sembra aver già tracciato le traiettorie della sua vita. filumena fa deragliare il fato con il suo orgoglio, il suo temperamento energico e l'infinita genuinità della popolana del sud.
ho amato filumena anche per questo, per il ritratto psicologico che emerge dalla sceneggiatura e dall'intensa, quanto straordinaria, interpretazione di sophia loren, perchè in quei sentimenti quasi urlati, in quelle passioni esternate in modo esagerato e in quell'agire istintivo e sanguigno ho incontrato e riconosciuto le donne della mia famiglia, mia madre e mia nonna. in esse e in filumena mi sono specchiata ed vi ho trovato, riflessi, alcuni tratti della mia identità originaria. una parte di me autentica che celo e proteggo da sguardi indiscreti e da giudizi affrettati, fallaci, come si fa con qualcosa di raro e di autentico, affinchè nulla e nessuno possano scalfirla.
questo film è senza ombra di dubbio il mio preferito. l'ho visto e rivisto così tanto da aver perso il conto.
è difficile scegliere una scena in particolare, poichè sono molte quelle che prediligo.
tuttavia, sono particolarmente legata a quella in cui filumena rivela a don dummì che è il padre di uno dei suoi tre figli. don dummì non le crede, o perlomeno non vuole crederle. ripete "nun è o'vero, nun è o' vero" in modo nervoso, come a voler interrompere bruscamente e definitivamente quel flusso di parole che cerca di ricomporre quella verità a lui dissonante. in quell'istante, filumena tira fuori da un ciondolo una banconota da 100 lire, il compenso che don dummì le aveva lasciato in cambio di una notte d'amore, una delle tante che avevano trascorso anni prima nella casa di tolleranza in cui lei aveva lavorato. notte d'amore fu per lei, non per don dummì.
e fu proprio l'amore a lasciare un segno, quella notte e per sempre, poichè concepirono il loro figlio. su un angolino di quella 100 lire filumena segnò il giorno, il mese e l'anno. questo è il conticino che le serve e che continua a custodire, dopo averlo separato dal resto della banconota, per non dimenticare non solo quella notte, ma tutto il suo passato. ciò che rimane di quelle 100 lire, lo tira addosso a don dummì... perchè "i figli non si pagano".



giovedì 29 ottobre 2009

sedici anni e er caffettiere filosofo

"l'ommini de sto monno ll'istesso
che vvaghi de caffè nner mascinino:
c'uno prima, uno doppo, e un antro appresso,
tutti cuanti però vvanno a un distino.
spesso muteno sito,
e ccaccia spesso

er vago grosso er vago piccinino,
e ss'incarzeno, tutti in zu l'ingresso
der ferro che li sfraggne in porverino.
e ll'ommini accusì vviveno ar monno
misticati pe mmano de la sorte
che sse li ggira tutti in tonno in tonno;
e mmovennose oggnuno, o ppiano, o fforte,
senza capillo mai caleno a ffonno
pe ccascà nne la gola de la morte."
er caffettiere filosofo di giuseppe gioacchino belli

quando ho letto per la prima volta questa poesia di belli, avevo sedici anni.
sedici anni e una sconfinata voglia di mordere la vita, stritolarla tra i denti come solo un animale affamato sa fare, succhiarne la linfa, inglobarla tutta per metterla in circolo dentro le mie vene, mescolarla al mio sangue, nelle mie viscere e infine poterla liberare in energia pura.
con un sottile filo di follia cucii insieme il mio cuore, la mia anima e la mia mente. legai l'uno alle altre, dolcemente, ma saldamente, poichè per nessun motivo al mondo avrebbero dovuto separarsi. dovevano viaggiare insieme, all'unisono, senza sbavature e senza stonature, obbligati a seguire una sola armonia che di nome faceva amore.
a sedici mi innamorai, inspiegabilmente, profondamente e totalmente, per la prima volta, e forse anche l'unica, nella mia intera vita. mi innamorai di colui che mi fece scoprire e leggere questa poesia e insieme ad essa altre parole e altri suoni, altri colori e altre cose della vita che fino a quel momento non avevo ancora carpito e capito.
in quel periodo osservavo sempre il cielo. camminavo cercando di lanciare il mio sguardo oltre il mio stesso campo visivo. il naso costantemente all'insù e gli occhi fissi su quell'infinita distesa azzurra come a cercare qualcosa che non riuscivo a definire e a circoscrivere con le parole, con le azioni, e irrimediabilmente finivo col perdermi tra molecole celesti. guardavo il cielo e strappavo pezzi di nuvole e con essi disegnavo il mio futuro, fino a che la pioggia lavava via tutto, compreso il mio viso, costringendo i miei occhi ad un repentino cambio di direzione. così all'improvviso e senza preavviso, la pioggia mi catapultava nella realtà dalla quale cercavo di fuggire a volte per qualche minuto, altre per qualche ora. ma poi arrivava lui, che con i suoi occhi grandi, scuri e il suo sguardo vellutato mi faceva sentire protetta, sicura. lui che per me era autentico rifugio dalle paure e dalle insicurezze di adolescente che attraversava la vita come un funambolo dal passo incerto e dal precario equilibrio. lui era lo scudo che mi proteggeva da quella parte di me sempre pronta a condurmi verso l'autodistruzione. lui era la mano tesa da afferrare nel momento del bisogno e la mano da stringere forte quando le emozioni erano tanto impetuose quanto insopportabili e i battiti del mio cuore così intensi da fare eco in ogni singolo spazio del corpo.
a sedici anni tutto è amplificato. percepire, e quindi sentire, le cose, le persone e il mondo diventa un processo di inevitabile distorsione della realtà, soprattutto quando ormoni ed emozioni si fondono e diventano il solo filtro, un'unica interfaccia che permette di entrare in contatto con tutto ciò che sta al di là e al di qua della nostra pelle.
a sedici anni non esistono unità di misura. è l'età degli estremi, troppo o troppo poco, tutto o nulla. ogni cosa che entrava in contatto con me, aveva su di me e in me una risonanza che a volte insostenibile. oggi come allora stento a circoscriverla, a quantificarla e a descriverla. in adolescenza tutto diventa una questione di assoluta importanza, si ha lo strano potere di trasformare e ingigantire ogni minima cosa. tutto diveniva così totalizzante da costringermi a lottarvi contro. spesso altro non erano che guerre dichiarate da me stessa contro mostri inesistenti. come quell'idealista testardo che di don chisciotte che tentava di sfidare mulini a vento scambiandoli per giganti dalle braccia rotanti, allo stesso modo intravedevo in ogni cosa o persona che ostacolava il mio flusso vitale, un acerrimo nemico da combattere con tutte le mie forze in una guerra solitaria.
a volte vorrei tornare a quei sedici anni.
vorrei ritornarvi e riviverli per riacciuffare quei desideri, quei sogni e quello slancio vitale che portavo nel cuore, nell'anima e nella testa e che più e più volte ho perduto durante il mio cammino. loro erano la mia bussola, la mia stella polare e la mia ancora. e dio solo sa quanto vorrei riaverli con me. forse sono solo a pochi passi da loro, ma il buio in cui brancolo da qualche tempo non mi permette di vederli, di percepirli.
forse, invece, non è ancora giunto il momento di intravvedere una luce, un segno, un'indicazione che mi sia d'aiuto. o forse non ho ancora riacquistato quell'energia e quella forza necessarie per ritrovarle e per proteggerle come facevo a sedici anni.
tornare indietro però non è possibile. guardo avanti.
sì, guardo avanti e spingo il mio sguardo oltre il mio stesso campo visivo, oltre l'orizzonte possibile. magari laggiù, ritroverò ancora una volta i miei sedici anni.

lunedì 26 ottobre 2009

perdita e sogno

tre giorni fa ho perso una persona a me molto cara.
oggi ci siamo riuniti tutti per darle l'ultimo saluto, l'ultimo abbraccio, l'ultimo bacio.
è sempre difficile accettare una perdita, anche quando questa è in qualche modo preannunciata da una malattia o dall'inevitabile passare del tempo che plasma e trasforma il corpo, in un lento logorio. una volta ho sentito qualcuno dire che si nasce piccoli, rugosi e terribilmente stanchi e quando si muore si è altrettanto piccoli, rugosi e stanchi. e lei se n'è andata proprio così, consumata dalla sua lunga vita, si è spenta piano piano, giorno dopo giorno, come una candela che per lunghissimi anni ha affrontato con vigore l'ardore della fiamma.
quando una persona va via così, quasi in sordina, lascia che coloro che le sono stati accanto possano quasi abituarsi, in modo graduale, alla sua scomparsa e fa sì che attorno a lei il dolore di chi resta venga lenito da un'atmosfera in cui la sofferenza dovuta al distacco e alla perdita si fonde con la dolcezza dei ricordi e del tempo passato.
in questo momento non resta che condividere i pensieri e le emozioni, rimanere vicini e uniti, ma altro tempo ci vorrà perchè il nostro cuore e la nostra mente prendano reale coscienza del solco e del vuoto che questa persona ha lasciato inesorabilmente.
a lei che non potrò più incontrare, vedere, ascoltare, abbracciare nella realtà che mi circonda dedico questa canzone, nella speranza di poterla ritrovare nel mio mondo, quello interiore, nel silenzio del mio cuore e nei miei sogni.
"sogno che ti prendo come neve a ciuffi
soffio sui baci allontanati
sui baci tuoi versati
sogno la mia carne trasformarsi in puro
spirito
mi accorgo che sei sveglio
mi scordo che ti afferro
ci sarà qualcosa nei tuoi occhi viola
ci sarà qualcosa per cui valga la pena
ci sarà qualcosa che mi può stordire
ci sarà qualcosa, anche una cura, un sogno per
morire
a te che te ne vai
dono la mia dolcezza
estrema vertà
eterna mi incertezza
a te che te ne vai
sche sprofondo in questo viaggio mio mentale
e tutto è nella notte
notte tutta uguale
sogno che sei un urlo di bambino intrappolato
il gioco è cominciato e giò è finito il gioco
sogno che divento il tuo piccolo gigante
sul prato sei un diamante, nel prato a piedi
nudi
sogno che entra il mare in questo bosco di
frattaglie
ed io conosco i funghi e tu raccogli i fondi
ci sarà qualcosa nei tuoi occhi viola
ci sarà qualcosa nella vita per cui valga la
pena
ci sarà qualcosa persa per la strada
ci sarà qualcosa che ritorna e che ti fa partire
ora
a te che te ne vai
e diventi un'ossessione
non cederò la notte
perduta mia illusione
a te che te ne vai
e diventi un'invasione
non cederò la notte
eterna mia ossessione
e diventi un'invasione
ti aspetterò la notte
eterna mia ossessione"

sogno di gianna nannini




venerdì 23 ottobre 2009

incipit

per dare inizio al blog, ho scelto di dedicare questo primo post all'appello degli aquilani che in questi giorni stanno cercando di far fronte alle molteplici difficoltà dovute non solo all'insidioso freddo autunnale, che fa da preambolo alle più rigide temperature invernali, ma anche, e soprattutto, dagli enti locali e dalla protezione civile che sembrano essere affetti da rare forme di ipoacusia e ipovisione rispetto alle richieste e alle reali esigenze di coloro che da mesi vivono nelle tende.
ho raccolto questo messaggio dal blog di anna, nel quale mi sono imbattuta per caso a ridosso del 6 aprile di quest'anno e nel quale faccio spesso ritorno per conoscere in modo più diretto l'evoluzione della situazione in quelle zone. grazie a lei ho preso atto di spiacevoli retroscena della vicenda aquilana, dei quali mai, e sottolineo MAI, ho sentito parlare in un telegiornale o in uno dei tanti programmi "speciali" interamente dedicati al terremoto abruzzese.
ancora una volta sono portata a constatare la raccapricciante condizione nella quale imperversa il nostro paese e nella quale veniamo inevitabilmente trascinati tutti noi cittadini: la stragrande maggioranza degli strumenti di informazione non fa altro che propinarci mezze verità e indorare pillole che mai e poi mai vorremmo ingerire. sgraniamo bene gli occhi e apriamo bene le orecchie, più del solito e più del dovuto, perchè ormai è un dato di fatto che i nostri sensi e permettetemi di dire anche i nostri neuroni sono inibiti da pesanti filtri che ci impediscono di entrare in contatto con l'autentica realtà dei fatti.
quindi, invito tutti a visitare il blog di anna http://miskappa.blogspot.com/ che ci ha dato e ci dà la possibilità di osservare e di capire, attraverso la sua personale e dolorosa esperienza, il vero corso degli eventi e qui di seguito riporto l'appello che potete trovare anche a questo link:
OTTOBRE 2009: ALL’AQUILA E’ EMERGENZA UMANITARIA
Facciamo appello a tutti coloro che in Italia hanno
dimostrato sensibilità a quanto qui è successo e continua ad accadere.
A chi ha mantenuto alta l’attenzione sul dramma che ha
colpito il nostro territorio e sulla gestione del post sisma. Oggi, il 18 di
ottobre, all’Aquila fa freddo. Siamo nella fase più drammatica, la notte già si
sfiorano i -5°C ed andiamo incontro all’inverno, un inverno che sappiamo essere
spietato. Le soluzioni abitative, promesse per l’inizio dell’autunno, non ci
sono. Circa 6000 persone sono ancora nelle tende. Meno di 2000 persone sono
finora entrate negli alloggi del piano C.A.S.E o nei M.A.P. La maggior parte
degli Aquilani sono sfollati altrove in attesa da mesi di rientrare. Ora, con lo
smantellamento delle tendopoli altre migliaia di persone sono state allontanate
dalla città e mandate spesso in posti lontani e difficilmente raggiungibili.Noi,
definiti “irriducibili”, siamo in realtà persone che (come tutti gli altri)
lavorano in città, i nostri figli frequentano le scuole all’Aquila, molti non
sono muniti di un mezzo di trasporto, altri possiedono terreni od animali a cui
provvedere. Siamo persone che qui vogliono restare anche per partecipare alla
ricostruzione della nostra città. Da oltre sei mesi viviamo in tenda, sopportando
grandi sacrifici, ma con questo freddo rischiamo di non poter più
sopravvivere. Se non accettiamo le destinazioni a cui siamo stati condannati (che
sempre più spesso sono lontanissime) minacciano di toglierci acqua, luce,
servizi. Oggi, più di ieri, abbiamo bisogno della vostra solidarietà. Gli enti
locali e la Protezione Civile ci hanno abbandonati. Secondo le ultime notizie
che ci giungono i moduli abitativi removibili che stiamo richiedendo a gran voce
da maggio, forse (ma forse) arriveranno tra 45 giorni. Oggi invece abbiamo
bisogno di roulotte, camper o container abitabili e stufe per poter assicurare
una minima sopravvivenza. Visto che le nostre richieste alla Protezione Civile e
al Comune non sono prese in minima considerazione chiediamo a tutti i cittadini
italiani un ulteriore sforzo di solidarietà. E abbiamo anche bisogno di non
sentirci soli. Per questo vi chiediamo di organizzare dei presidi nelle piazze
delle città italiane per SABATO 24 OTTOBRE portando nel cuore delle vostre città
delle tende per esprimere concretamente solidarietà a noi 6000 persone che
viviamo ancora nelle tende ad oltre sei mesi dal sisma. Un altra emergenza è
cominciata oggi. Non dettata da catastrofi naturali ma dalla stessa gestione del
post sisma, da chi questa gestione l’ha portata avanti sulla testa e sulla pelle
delle popolazioni colpite. Alcuni abitanti delle tendopoli sotto zero.
Per donazioni e contatti:emergenzaottobre2009@gmail.com
339.19 32 618 - 347. 03 43 505 per ulteriori informazioni aggiungo il mio numero348. 30 55 965