domenica 8 novembre 2009

alla ricerca del sonno perduto


the peanuts - schulz
spesso, di sera, mi capita di non riuscire a prendere sonno.
ciò ha avuto inizio inspiegabilmente nel giorno in cui ho iniziato l'università.
da piccola, invece, ero la fan numero uno del sonno.
ormai è leggenda la storia che mia madre suole raccontare, con una frequenza pari solo a quella dell'uscita delle cretinate dalla bocca di silvio (leggi berlusconi), a tutti coloro che non conoscono i trascorsi bizzarri della nostra famiglia. io non sono da meno (tale madre, tale figlia) e mi applico assiduamente nel tramandare non solo oralmente, ma oggi anche per iscritto, la mia personalissima leggenda.
appena nata dormivo sempre. bella la vita a quei tempi! giorni e notti scandite da poppate e pisolini dissipati senza avarizia e un solo motto: minimo sforzo, massimo rendimento.
è pazzesco che al di là di ciò che racconta mia madre, che ovviamente è di parte, tutte le persone che mi hanno conosciuta da piccola, di me ricordano solo due cose: la folta criniera corvina e il perenne stato dormiente. il sonno mi coglieva nei momenti più insospettabili, quando mia madre passava l'aspirapolvere, quando squillava il telefono, quando la nostra vecchia lavatrice centrifugava causando un microsisma condominiale, quando la pentola a pressione sputacchiava vapore a intermittenza. a sentirli tutti, amici e parenti, dormivo e basta, al punto che la povera mamma era costretta, e sottolineo, costretta a svegliarmi per le svariate poppate notturne, pena il rapido deperimento fisico tanto temuto dalle mamme del sud come lei.
deduco che dovevo essere un vegetale con le sembianze di bambina, dal momento che nulla poteva distogliermi dal sonno. probabilmente una precoce indagine genetica avrebbe potuto svelare la presenza di un genotipo vegetable e di un fenotipo umano. a questo punto una serie di risvolti tragicomici si sono susseguiti a ruota nel mio microsistema familiare: la disperazione di mia madre nel non sentirmi mai piangere (se non in rarissime occasioni) e nel constatare l'assenza di un qualunque stimolo che potesse assomigliare alla fame, si alternava all'invidia delle sue amiche, mamme di pargoli più simili a lupi sotto una luna in perenne plenilunio.
una di queste, in particolare, stremata da un figlio dedito al canto heavy metal e a ubriacature di latte materno ventiquattro ore su ventiquattro/sette giorni su sette, che le aveva tolto, insieme alle speranze, ogni tipo di energia psico-fisica, anziché recarsi dal farmacista per l'approvvigionamento di supradyn e di multicentrum, un giorno fece visita a casa nostra. portò con il figlio-urlante e, rosicando nel vedermi placida e beata nella culla, mera espressione del mio essere vegetable inside, optò per un esperimento altamente s c i e n t i f i c o: testare la resistenza della mia fase rem sotto l'ondata di decibel del pianto-urlo del figlio. ma leggenda volle che nemmeno lui riuscì a svegliarmi.
e s p e r i m e n t o-n o n-r i u s c i t o/ p r o v a-n o n-s u p e r a t a.
tutto ciò suscitò stupore in mia madre e invidia nella sua amica, che distrutta come pochi e in debito di sonno da mesi, non esitò un momento nel gettare discredito sulla genuinità del mio riposo e del mio ritmo sonno-(non)veglia. inviperita, si adoperò nel far vacillare le convinzioni della mia povera mamma con le seguenti parole "guarda che tua figlia non è normale e potrebbe passare dal sonno alla morte come niente. non se ne accorgerebbe nessuno, nemmeno lei!".
non so cosa le rispose mia madre dopo aver udito una simile boiata, ma conoscendola e sapendo che è tutto fuorché ipocondriaca, immagino che saggiamente non dette peso a quelle parole.
la mia love-story con il sonno e le sue fasi fu un idillio lungo 19 anni. non vi fu l'ombra di una crisi, solo qualche incubo, come di routine. sono riuscita a dormire come un ghiro persino la notte precedente all'esame di maturità, così tanto e così bene che quando aprii gli occhi la prima cosa che pensai è stata "mo' vado a prendere il sole al parco". inutile dire che l'intenzione, seppur buona, pura e ingenua come un neonato, si sia polverizzata in un nanosecondo, nell'esatto momento in cui mi sono accorta di aver dormito tutta la notte abbracciata all'enciclopedia di letteratura italiana, con le dita ancora incastrate tra le pagine delle poesie di Montale. saranno state le poesie, sarà stato Montale, sarà stata l'indicibile stanchezza, ma non potrò mai dimenticare quella mattina e quella sensazione di riposo totale, a 360°, un riposo della testa e del corpo. mi sentii tremendamente bene e rilassata, priva di ogni coordinata spazio-temporale. quelle dormite lunghe e intense, che durarono ancora tutta quell'estate fino al maledetto giorno in cui varcai la soglia dell'università, ora sono solo un lontano ricordo, lontano come l'esame di maturità.
da allora, qualcosa si ruppe e mai più notti furono così. mai più dormite filate senza traumatici e improvvisi risvegli notturni, ma soprattutto mai più addormentarsi senza avere il tempo materiale per appoggiare la testa sul cuscino e per chiudere gli occhi. l'idillio terminò bruscamente con una separazione "in casa" e con tutto ciò che essa comporta.
attualmente il sonno ed io viaggiamo su strade parallele, anche se continuo a braccarlo ogni sera, cercando di richiamarlo a me con vari stratagemmi: il profumo di tazzoni di camomilla, fumanti tisane rilassanti a base di melissa o le immancabili gocce di valeriana.
certe sere, memore della mia notte prima degli esami che nulla ha a che vedere con la canzone di venditti, prendo in mano un libro, un libro di poesie.
lo guardo, lo rigiro tra le mani, lo annuso, lo sfoglio, lo richiudo.
poi lo riapro. scelgo una pagina a caso. leggo una poesia. una volta, due volte, tre volte.
spesso anche quattro, come fosse una ninnananna dalla melodiosa ridondanza, fino a lasciarmi intorpidire dal suono mentale di quelle parole.
stasera la ninnananna è nuovamente di montale.
sapete com'è, squadra che vince non si cambia.
"non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si
sfolla,

non far del grande suo viso in ascolto
la mia
nebbia di sempre.

un freddo cala...duro il colpo svetta.
e l'acacia ferita da sé scrolla
il guscio di
cicala

nella prima belletta di novembre."
non recidere forbice quel volto di eugenio montale

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