mercoledì 27 gennaio 2010

giorno della memoria

"c'è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede
ancora la marca di fabbrica
"schulze monaco".
c'è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio
di scarpette infantili
a buckenwald
erano di un bambino di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l'eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
c'è un paio di scarpette rosse
a buckenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole."
un paio di scarpette rosse di
joyce lussu



avevo 18 anni la prima volta che sono entrata in ciò che resta di un campo di sterminio. il lager in questione è quello di dachau.
ripeto avevo 18 anni. conoscevo la storia, gli avvenimenti di quel periodo lungo e critico e i suoi protagonisti attraverso i libri.
avevo letto il diario di anna frank e se questo è un uomo di primo levi, avevo visto jona che visse nella balena, il pianista, train de vie, la fuga degli innocenti, la vita è bella e in un pianto incontenibile dal primo all'ultimo minuto avevo visto anche schindler's list.
sapevo già cosa avrei visto con i miei occhi e toccato con le mie mani in quel lager. eppure, solo quando vi ho messo piede, ho preso coscienza che quel luogo non era qualcosa da circoscrivere nella storia e quindi nel passato, che prendeva vita solo nelle pagine di un libro o nelle immagini di un film, ma era reale, terribilmente concreto.
ricordo che nel percorrere il viale antistante il campo, sentivo ogni mio passo farsi pesante. la testa era bassa perché non riuscivo ad alzare lo sguardo. continuavo a fissare i miei piedi che strisciavano sulla ghiaia. non mi sentivo più io, non era più importante chi fossi, come mi chiamassi, cosa facessi nella vita. quando ho varcato il cancello, ho alzato gli occhi. è stato un colpo. il filo spinato e una distesa sterrata. delle 32 baracche originarie non vi erano resti, se non le fondamenta in cemento, ma non era difficile immaginarle.
e infine i forni. ancora lì, intatti, come se il tempo li avesse schivati affinché divenissero testimonianza perenne delle atrocità compiute in quel luogo.
ricordo che non riuscivo a pensare a niente. la mia mente era troppo occupata a produrre immagini e a proiettarle su ogni centimetro quadrato disponibile adiacente. immaginavo gli uomini, le donne e i bambini che camminavano sotto la pioggia, sotto la neve, sotto il sole cocente, nella nebbia e nelle folate di vento. i piedi scalzi, feriti. le gambe e le braccia esili, fragili. gli occhi cerchiati, stanchi. la paura e il coraggio. la fame e la sete. la dignità sottratta con la violenza fisica e psicologica. i corpi senza vita ammassati. i forni e la nube nera.
ricordo di essere arrivata davanti al memoriale senza essere pienamente cosciente di camminare sulle mie gambe. lo stomaco bruciava. poi un nodo alla gola, mentre i miei occhi scorrevo su queste parole:
"puisse l'exemple de ceux qui furent exterminés ici de 1933 à 1945 dans la lutte contre le nazisme faire que les vivants s'unissent pour défendre la paix, la liberté et le respect de la personne humaine"
non dimenticare diventa un imperativo.
non dimenticare è dovere morale e sociale.
non dimenticare significa conoscere la storia, comprenderne le dinamiche profonde e scardinarne le contraddizioni.
non dimenticare vuol dire vivere il presente con consapevolezza e costruire un futuro migliore.
i vivi si uniscano in difesa della pace, della libertà e del rispetto della persona umana, non solo oggi 27 gennaio giorno della memoria, ma sempre.

2 commenti:

  1. Io andai a auschwitz. Ci sono rimasto male per una settimana. Se non di più. Son cose che ti fanno tremare. Decisamente.

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  2. non ho ancora visitato auschwitz, ma mi hanno detto che è ancora più toccante di dachau, perchè tutto è rimasto come allora.
    entrambe sono esperienze forti, ma necessarie.

    grazie per il commento!

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